Un’operazione, coordinata dalla Procura distrettuale di Milano, d’intesa con la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, è scattata in diverse province della Lombardia e del Piemonte, ed è stata condotta congiuntamente dalle Digos di Lecco, Varese, Milano, supportate dal Servizio Centrale Antiterrorismo della Dcpp/Ucigos, e dal Ros dei Carabinieri, coadiuvato dai Comandi dell’Arma territoriali.
Un percorso di radicalizzazione iniziato nel 2009
L’operazione ha portato a sei arresti tra Lecco e Varese contro il terrorismo internazionale jihadista.
Tra i 6 destinatari dell’ordinanza di arresto c’è una coppia residente nella provincia di Lecco. Si tratta di Mohamed Koraichi e la moglie Alice Brignoli che ha cambiato nome in Aisha dopo la conversione all’Islam. La coppia è latitante e per inquirenti e investigatori si trova da un anno, con i tre figli di 6, 4 e 2 anni, sul fronte iracheno-siriano a combattere con l’Isis. La vicenda di Alice Aisha Brignoli e Mohamed Koraichi, i cui nomi sono finiti nell’elenco dei foreign fighters “italiani”, è emersa a maggio del 2015 quando la madre della donna ne ha denunciato la scomparsa con i suoi tre figli. Aisha e suo marito Mohamed hanno iniziato il percorso di radicalizzazione nel 2009, in concomitanza con la nascita del primo figlio: lei ha iniziato ad indossare il velo e a studiare l’arabo, lui si è fatto crescere la barba e sempre più spesso si faceva vedere in giro con una tunica bianca. Con il passare del tempo i due hanno tagliato tutti i legami con le famiglie e a maggio dell’anno scorso sono partiti per la Turchia per poi raggiungere la Siria. I coniugi “erano disoccupati e ricevevano sussidi statali ed aiuti dai loro genitori”. Per organizzare il viaggio in macchina in Siria, attraverso la Bulgaria e la Turchia, la coppia risulta aver chiesto un finanziamento in banca di 7 mila euro.
E’ invece stata arrestata a Baveno, in provincia di Verbania, Wafa Koraichi. Sono stati fermati anche Abderrahim Moutaharrik, cittadino italiano di origini marocchine e sua moglie Salma Bencharki. Infine è finito in carcere Abderrahmane Khachia, residente a Brunello (Varese). Il giovane è il fratello di Oussama Khachia, un foreign fighter cresciuto a Brunello ed espulso dall’Italia il 28 gennaio 2015 per alcuni post su Facebook a favore dell’Isis. In seguito fu allontanato anche dalla Svizzera e infine avrebbe raggiunto la Siria dove sarebbe morto dopo essersi unito al Califfato.
Ripetuti riferimenti all’Italia per i prossimi attentati
Il gip Manuela Cannavale, nell’ordinanza di custodia cautelare, ha scritto che destano “estremo allarme” i continui e “ripetuti riferimenti all’Italia come luogo di prossimi ed imminenti attentati” e la “chiamata alle armi”, e cioè l’autorizzazione o l’accreditamento per essere arruolato tra le file dell’Isis.
Il procuratore aggiunto di Milano, Maurizio Romanelli, ha spiegato che da alcune intercettazioni è emerso che Koraichi parlava con uno degli arrestati di attentati da compiere in Italia e che sui possibili attacchi c’era “un’attenzione particolare alla città di Roma”. Romanelli ha aggiunto che dalle zone di guerra siriano-irachene sarebbe arrivata “la richiesta di effettuare attentati sul territorio italiano, una indicazione non generica ma specifica che ci risulta da messaggi che abbiamo intercettato”.
In un audio inviato lo scorso 25 marzo da Abderrahim Moutaharrik, arrestato prima che partisse anche lui assieme alla moglie e ai due figli, a Mohamed Koraichi, quest’ultimo lo aveva incitato in una serie di messaggi audio, inviati tramite WhatsApp, a compiere un attentato a Roma.
Koraichi diceva a Moutaharrik: “Fratello mio, lì in quella Italia, quella è la capitale dei crociati, fratello mio è quella, è lì dove vanno a fare il pellegrinaggio (per il Giubileo), è da lì da dove prendono la forza e da lì vanno a conquistare i popoli, e da lì combattono l’islam, fino ad ora non è stata fatta nessuna operazione, sai che se fai un attentato è una cosa grande, Dio è grande, preghiamo Dio, fratello mio”. In un altro messaggio vocale Moutaharrik rispondeva: “Sì fratello, se Dio vuole ci sarà solo del bene, se Dio vuole che loro pensano di essere in pace, invece giuro non sono in pace, anche se noi viviamo in mezzo a loro e giochiamo il nostro gioco come se fossimo come loro, però giuro che noi non siamo come loro”.
Moutaharrik chiedeva di mettere in salvo la famiglia
E poi ancora: “Giuro se potessimo trovare il modo abbatteremo tutto questo paese e non sappiamo che questi infedeli per questa Italia, per questo Vaticano, per questi presidenti, questi presidenti infedele e loro che danno forza a tutto questo che sta succedendo ai paesi arabi e nei paesi islamici, però con la volontà di Dio, con la volontà di Dio, la maggior parte dei ragazzi qui hanno iniziato a muoversi, hanno iniziato”. Poi Moutaharrik chiedeva di mettere prima in salvo la famiglia nei territori del Califfato e poi passare all’azione: “Però fratello è l’unica richiesta che ti chiedo, è la famiglia, tu sai voglio almeno che i miei figli crescano un po’ nel paese del califfato dell’islam, il paese dove c’è la legge islamica, questa è l’unica richiesta che voglio”.
Moutaharrik avrebbe ricevuto la richiesta anche da altri affiliati all’Isis di compiere attentatati nei Paesi in cui il destinatario si trovava, quindi l’Italia. In un’altra intercettazione telefonica, parlando con Abderrahmane Khachia, anche lui finito in carcere, Moutaharrik avrebbe detto: “Voglio picchiare (inteso come colpire e far esplodere) Israele a Roma”. Nell’ordinanza si legge che nella telefonata Moutaharrik avrebbe fatto riferimento “ad un suo disegno per compiere un attentato all’Ambasciata di Israele” chiarendo “di avere contattato un soggetto albanese per procurarsi le armi, non riuscendo nell’intento”.
Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, a “Mattino 5”, ha spiegato che gli arrestati “avevano intenzioni molto brutte”, visto che “erano stati indotti a valutare l’ipotesi di compiere anche in Italia degli attentati o degli atti violenti”. E ha aggiunto: “In un contesto in cui il rischio zero non esiste, la prevenzione ha funzionato”. “Noi siamo riusciti a fermarli prima” che realizzassero i loro progetti, “e questa è la prova che le cose stanno funzionando”. Il titolare del Viminale ha poi ricordato che la coppia che voleva partire per la Siria è stata arrestata “in base ad una legge che abbiamo voluto” perché “noi i foreign fighters li arrestiamo”. Prima della legge, ha spiegato, “chi aveva intenzione di recarsi a combattere non poteva essere arrestato, solo se era un reclutatore poteva essere arrestato, ora invece finisce in carcere”. Alfano, infine, ha sottolineato la “bella azione di squadra” che ha consentito di arrivare agli arresti. Ci sono state indagini che sono state efficaci e coordinate dalla procura distrettuale di Milano”.