Oggi il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, è intervenuto a Palazzo Reale, a Milano, ad un convegno sul contrasto alla corruzione organizzato dal Centro studi Antiriciclaggio e Anticorruzione con la collaborazione del Comune di Milano.
Davigo si è più volte scontrato con il governo
Da quando è alla guida del sindacato delle toghe, Davigo si è più volte scontrato con il governo, criticando pesantemente le scelte dell’esecutivo, e l’Anac, l’Autorità dedicata alla prevenzione della corruzione, nella figura del suo presidente, Raffaele Cantone.
Davigo e Cantone si sono spesso sfidati a distanza. E anche in questa occasione l’ex pm di Mani pulite non si è mostrato affatto tenero o diplomatico. Davigo ha sostenuto che nella lotta alla corruzione solo la repressione possa fermare i corrotti, quindi agenti sotto copertura, intercettazioni, manette tutte le volte che servono. Al contrario Cantone ha più volte sottolineato che le manette non servano a nulla se non si lavora sulla prevenzione per bloccare la corruzione prima che l’azione corruttiva venga compiuta. A favore della sua tesi, così, Cantone ha citato l’esempio di Paesi stranieri che hanno investito sulla prevenzione e hanno ottenuto dei risultati, ma anche la sua storia all’Anac, i risultati di Expo e di Mose, e di tutti quegli appalti che sono stati esaminati al microscopio prima che i tentativi di corruzione avvenissero.
Intervenendo al convegno a Milano oggi Davigo è tornato a puntare il dito contro i colletti bianchi. Il presidente del sindacato delle toghe ha affermato: “Nei cda si commettono reati di maggiore gravità che non sono subito visibili e qualcuno dice che io straparlo quando dico che i reati dei colletti bianchi sono più pericolosi di quelli da strada”. “Ma nelle sedi centrali non possiamo mandare le volanti. Le forze di polizia poi sono strutturate come organi di sicurezza, per la repressione dei reati visibili, non come polizia giudiziaria”. Ad aggravare la situazione, secondo l’ex pm di Mani Pulite, c’è il fatto che “i colletti bianchi poi in carcere non ci finiscono”. Davigo ha ribadito le parole già espresse lo scorso 22 aprile nel corso della lectio magistalis al Master in prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e corruzione dell’Università di Pisa, quando denunciò che “La classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada e fa danni più gravi”.
Al processo Parmalat 45mila vittime volevano essere risarcite
Davigo ha preso ad esempio il processo Parmalat che si è svolto a Milano qualche anno fa dove c’erano “45 mila parti civili, 45mila vittime che volevano essere risarcite. “. E ha aggiunto: “Quanto ci impiega uno scippatore a fare 45 mila vittime? Se fa 9 scippi ogni due giorni, ci mette 10mila giorni. E poi nella mia esperienza non mi sono mai imbattuto in una vittima di scippo che nella borsetta avesse i risparmi di tutta una vita mentre i 45mila avevano investito nei bond Parmalat i risparmi di una vita”. Poi ha ricordato che al momento della condanna “Tanzi commentò “Non me l’aspettavo”, e aveva ragione, era un’anomalia, perché in Italia di regola i colletti bianchi non finiscono in carcere”.
Per il presidente dell’Anm l’istituto del “whistleblowing”, “il “fischiatore” in uso negli Usa, che tutela i dipendenti che segnalano i reati, introdotto per contrastare la corruzione, non serve. Davigo ha detto: “Stiamo parlando del nulla”. L’istituto è previsto nel piano anticorruzione dell’Anac ed è materia di una proposta di legge passata alla Camera.
Davigo: “Il fischiatore è una cosa stucchevole”
Davigo ha affermato che il whistleblowing si può sintetizzare come “fumo negli occhi”. La proposta di legge approvata alla Camera nel gennaio scorso, prevede, tra l’altro, di introdurre la tutela del dipendente anche privato che segnala condotte illecite, una sanzione pecuniaria amministrativa fino a 30mila euro per chi commette atti discriminatori nei confronti del “whistleblower” e il divieto di rivelare l’identità della “gola profonda”. Per Davigo, “il fischiatore è una cosa stucchevole, perché se parliamo di dipendenti pubblici questi hanno l’obbligo di denuncia”. E ha commentato duramente: “Quando si copiano le norme dall’estero bisognerebbe avere l’accortezza di ricordarsi della realtà in cui si calano. Ho ascoltato con interesse tutto ciò che riguarda i professionisti e i codici etici, tutte cose interessanti, ma in Italia manca un’etica diffusa, quindi le norme servono fino a un certo punto”.
Davigo ha puntato il dito anche contro il legislatore
Nel corso del suo intervento dunque Davigo ha puntato il dito anche contro il legislatore che fa leggi che “non servono o fanno danni” e, come aveva già fatto nei giorni scorsi, è andato anche all’attacco parlando dell’inutilità del nuovo Codice degli appalti voluto dall’Anac. Stavolta, però, il magistrato ha fatto riferimento anche alla politica, e si è domandato: “La politica cosa fa? Anche quando decide di intervenire, lo fa con risultati discutibili”. E si è rivolto ai media, incapaci di informare correttamente. Per Davigo, infatti, “Il legislatore, ma anche i mezzi di informazione, raccontano ai cittadini italiani cose sbagliate sulla corruzione, sugli appalti e sui fondi neri e sulla base di queste cose sbagliate si fanno norme che nell’ipotesi migliore non servono a niente e in quella peggiore creano danni”.
Il magistrato ha affermato: “Tutta la norma sugli appalti è fantascienza, non c’entra nulla con quello che accade nella realtà. Per far finire i cartelli, le norme sugli appalti non servono, perché descrivono qualcosa di diverso dalla realtà. Le norme potranno servire quando non ci saranno più i cartelli, adesso è necessario fare altro”. Per Davigo “pensare di affrontare” la piaga della corruzione “con nuove norme sugli appalti” è inutile. E ha aggiunto: “Scrivere norme sul Codice degli appalti non serve a niente per curare la malattia”, che è la corruzione.
Non servono a molto neanche “le autorità amministrative”
L’ex pm del pool Mani pulite si è chiesto provocatoriamente “Che senso ha poi aumentare le pene se non si scoprono i corrotti e i corruttori?”. Così come non servono a molto (lanciando una frecciata all’Anac di Cantone) “le autorità amministrative per il contrasto alla corruzione perché ad esempio non possono fare intercettazioni”. Secondo il presidente delle toghe italiane, l’unica arma valida per intervenire in materia di corruzione, infatti, è l’uso massiccio delle intercettazioni.
Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a margine di un incontro sul tema della sicurezza degli uffici giudiziari, con il procuratore della Cassazione Pasquale Ciccolo, e i Procuratori generali presso le Corti d’Appello e rispondendo ad una domanda sulle dichiarazioni del presidente dell’Anm Davigo ha ritagliato un breve spazio per una replica a distanza: “Davigo afferma spesso che l’aumento delle pene contro la corruzione non è sufficiente. Sono d’accordo con lui e per questo lo invito a dire se giudica utili o dannosi gli altri interventi che abbiamo fatto su questo fronte e a indicare quali”. Il ministro ha enumerato le misure predisposte nei mesi scorsi quali “la reintroduzione di una effettiva sanzione per il falso in bilancio, l’introduzione del reato di auto-riciclaggio, l’estensione della responsabilità del funzionario pubblico all’incaricato di pubblico servizio, lo sconto di pena per chi collabora nelle indagini sulla corruzione. Questi sono interventi presenti nella legge anticorruzione. Vorrei sapere se Davigo li ritiene utili o dannosi”.