Dallo scandalo “Panama Papers” continuano ad emergere nuovi nomi. Dalla più grande fuga di notizie finanziarie della storia, con 11,5 milioni di documenti emersi, infatti, è nata un’inchiesta giornalistica, svolta a livello internazionale da 378 giornalisti appartenenti a testate di diversi Paesi, associate in un consorzio internazionale di giornalismo investigativo.
Mossack Fonseca. Una delle più grandi “fabbriche” di società nei paradisi fiscali
“The International Consortium of Investigative Journalists” è specializzato soprattutto in indagini su corruzione e crimini transnazionali e ha già pubblicato diversi lavori . L’inchiesta “Panama Papers” riguarda lo studio legale Mossack e Fonseca di Panama, una delle più grandi “fabbriche” al mondo di società registrate nei paradisi fiscali, spesso utilizzati da chi cerca di rendere irrintracciabile una parte o tutta la propria ricchezza.
Nel carteggio di milioni di documenti emersi figurano più di 214 mila società offshore, collegate a persone residenti in oltre 200 Paesi. Il lavoro di indagine ha permesso di ricondurre le società, direttamente o indirettamente, a 140 fra politici e uomini di Stato nel mondo. Fra questi, ci sono 12 leader politici tra attuali ed ex. Tra i più noti emersi finora: i primi ministri di Islanda e Pakistan, i presidenti di Ucraina e Azerbaigian, il re del Marocco e dell’Arabia Saudita, il presidente della Federazione russa, il premier del Regno Unito. Sono inoltre emersi i nomi di 550 banche che, attraverso lo studio legale panamense, hanno creato più di 15 mila società offshore. Per l’Italia, il lavoro di indagine è stato svolto in esclusiva da “l’Espresso”. Per evitare casi di omonimia, il giornale ha deciso di pubblicare i nomi degli italiani presenti nei Panama Papers solo dopo averne verificato la loro identità.
Domenica, sul sito, “l’Espresso” aveva anticipato alcuni nomi italiani citati nell’archivio dello studio, in concomitanza con l’uscita dei primi risultati dell’inchiesta sulle altre testate partner di ICIJ: l’imprenditore Luca di Montezemolo, il latitante Giuseppe Donaldo Nicosia, coinvolto in un’inchiesta per truffa con Marcello dell’Utri, il pilota Jarno Trulli. Nelle carteggio ricorrono anche i nomi di due grandi istituti di credito italiani: Unicredit e Ubi.
Ieri il sito ha rivelato anche quelli di Barbara D’Urso, Carlo Verdone e lo stilista Valentino. Secondo il Corriere della Sera il legale della showgirl ha diffidato formalmente il settimanale l’Espresso “dal divulgare notizie che appaiono lacunose e gravemente lesive della sua immagine” in quanto “la società in questione era stata aperta ai fini di un’operazione immobiliare che la D’Urso intendeva compiere all’estero; operazione che non si era poi concretizzata; la società era conseguentemente sempre rimasta inattiva, poi ufficialmente chiusa nel 2012”.
Verdone: “Sorpreso”
L’attore e regista romano si è detto “sorpreso di essere accostato a una società con sede a Panama”. Lo stilista Valentino, invece, ha fatto sapere attraverso i suoi legali di essere residente a Londra da oltre 10 anni.
Oggi “l’Espresso” ha dedicato al caso “Panama Papers” la sua copertina. E, in ordine alfabetico, ha pubblicato il primo elenco di 100 nomi, sugli 800 che sarebbero coinvolti nella vicenda Panama Papers. Tra i cento nomi nove sono liguri. Tra questi anche Santiago Vacca, ex sindaco di Borghetto e neo coordinatore di Forza Italia, l’imprenditore navale Giovanni Battista Baglietto e l’imprenditore del mattone Andrea Nucera. Tra i documenti riservati sono state scoperte anche decine di società estere collegate ai tesorieri di boss mafiosi del calibro dei fratelli Graviano, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.
Ieri, nel panorama internazionale, il terremoto innescato da giorni dalla fuga di notizie più grande della storia finanziaria e politica, ha continuato a far tremare leader e vip di mezzo mondo. Al termine di una giornata convulsa, in un chiaro tentativo di mettere fine alle pressione dei giornali e dell’opposizione, che dopo l’intervista ha cominciato a chiedere le sue dimissioni, il premier britannico, David Cameron, dopo aver inizialmente smentito un suo potenziale coinvolgimento nell’inchiesta, ha invece ammesso le sue responsabilità.
Cameron ha ammesso
E, in un’intervista esclusiva di 13 minuti al canale Itv news, ha dichiarato di possedere una quota della società offshore creata dal padre Ian, un broker molto possidente, scomparso nel 2010, precisando di averla venduta per “30.000 sterline” poco prima di diventare Primo ministro, spiegando: “Non volevo che qualcuno pensasse che avessi un’agenda segreta”, insistendo di “non avere nulla da nascondere”. A proposito di quelle stesse quote, ha anche dichiarato di aver “pagato tasse sui dividendi”, ma non sui “capital gain”, dato l’ammontare dei profitti ricavati. In ogni caso, ha assicurato: “sono stato soggetto in tutto e per tutto alla tassazione britannica, normalmente”. Inoltre ha ammesso di aver ricevuto 300.000 sterline in eredità dal padre ma non ha potuto assicurare che tali soldi siano passati da “paradisi fiscali”. La “confessione” del primo ministro britannico, probabilmente, è stata dettata dalla necessità di uscire al più presto dallo scandalo che rischiava di sommergerlo alla vigilia del referendum sulla Brexit, la possibile uscita del Regno Unito dall’UE. Il premier ha però ribadito l’impegno di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, impegno che l’opposizione laburista gli rimprovera d’aver finora disatteso. Anche Guardian oggi ha rinnovato questa richiesta e ha pubblicato 10 domande a Cameron, mentre il Financial Times ha rivelato come il premier sarebbe intervenuto in sede Ue in materia fiscale, favorendo “scappatoie” pro-elusione.
Oggi si è aggravata anche la posizione del presidente Mauricio Macri. La procura argentina ha infatti chiesto alla magistratura di aprire un’inchiesta sul presidente che non ha dichiarato la sua partecipazione alla gestione di una società offshore appartenente al padre.
In molti, sui forum e sui social network, si erano chiesti perché finora non siano apparsi nomi di cittadini americani, ipotizzando una regia di matrice statunitense. Uno dei politici coinvolti dallo scandalo, infatti, è Vladimir Putin, grande nemico degli Usa. E tra i finanziatori di ICIJ c’è il finanziere George Soros, vicino agli Usa e nemico di Putin. In realtà i documenti contengono migliaia di nomi di cittadini americani, ma nessuno eccellente. Il Washington Free Beacon e il Washington Examiner, due pubblicazioni vicine ad ambienti ultra conservatori, ha chiamato in causa John Podesta, il capo della campagna elettorale di Hillary Clinton. Secondo i giornali il Podesta group, dei fratelli John e Tony, avrebbe svolto un ruolo di lobby per la Russian Sberbank, con accordi segreti che avrebbero contribuito ad arricchire molti esponenti della cerchia di Vladimir Putin. Il presidente russo, ribadendo di non essere nominalmente nella lista pubblicata dai media, ha identificato la fuga di notizie come “un tentativo di destabilizzare” la Russia “dall’interno”.
Dopo le dimissioni del premier islandese Sigmundur Gunnlaugsson, oggi è toccato al presidente della banca austriaca Hypo Vorarlberg, Maichael Grahammer e ad un consigliere di sorveglianza della banca olandese Abn Amro, Bert Meerstadt. Il governo di Panama, dove ha sede lo studio Mossack Fonseca, ha annunciato la creazione di una “commissione di esperti” per cercare di migliorare la trasparenza nel settore della finanza offshore.
Oggi è scesa in campo anche l’Unione europea. Il Commissario agli affari economici, Pierre Moscovici, in merito ai “Panama Papers”, ha dichiarato: “Le rivelazioni mi hanno scioccato, è immorale, non etico, inaccettabile, gli importi sono scioccanti”. Nonostante ciò il commissario Ue ha definito il caso Panama Papers “una buona notizia sul piano politico”. Secondo Moscovici “rafforzeranno l’azione di coloro che dicono basta, l’opinione pubblica è il nostro più forte alleato”. E ha sollecitato la creazione di una “lista nera” dei paradisi fiscali il prima possibile.