Oggi a Vienna, nel vertice internazionale sulle aree di crisi in Medioriente, si è discusso di Siria, dopo una prima giornata dedicata alla Libia. Il vertice di Vienna è stato convocato da Stati Uniti e Italia. Il Gruppo Internazionale di sostegno è formato da 20 ministri degli esteri.
Ieri si è discusso di Libia e guerra all’Isis
Obiettivo del vertice di ieri, cui hanno partecipato il premier libico Fayez Al-Sarraj, gli Stati Uniti e l’Italia, rappresentata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, era decidere come ristabilire l’unità della Libia e la strategia della guerra all’Isis. Già alla vigilia del vertice il primo ministro libico Sarraj, domenica, in un intervento sul Daily Telegraph, aveva dichiarato di non volere un intervento straniero ma assistenza per l’addestramento delle truppe e la rimozione dell’embargo sulle armi. Lo stesso ha ribadito a Vienna, lanciando l’appello: “Abbiamo bisogno del vostro aiuto per affrontare l’Isis. Per noi si tratta di una sfida vitale. Speriamo nella vostra assistenza nell’addestramento ed equipaggiamento delle nostre truppe”. “Nell’immediato futuro presenteremo la lista delle nostre richieste”.
“Non chiediamo un intervento straniero in Libia, ma assistenza con addestramento e la rimozione delle sanzioni sulle forniture militari delle armi al nostro governo: la comunità internazionale ha responsabilità verso la Libia, e quando si tratta di sconfiggere lo Stato islamico ricordo ai nostri amici che questo sarà raggiunto dagli sforzi libici e senza intervento militare straniero”.
Sarraj: “Il nostro nemico peggiore sono le divisioni interne”
Poi ha aggiunto: “Il nostro nemico peggiore non è l’Isis ma le divisioni interne. I terroristi saranno sconfitti dal nostro esercito unito sotto il comando civile, non dalle milizie rivali che rivendicano un ruolo politico”. Il premier libico ha quindi fatto un chiaro riferimento al sostegno politico e militare che arriva al generale Khalifa Haftar, uomo forte del governo di Tobruk, e al presidente del parlamento di Tobruk, Agila Saleh, che stanno boicottando il governo di unità nazionale di Tripoli sostenuto dal piano dell’Onu. E che, grazie all’aiuto di Egitto ed Emirati Arabi Uniti, negli ultimi tempi sta rilanciando in modo indipendente l’offensiva contro l’Isis.
In questo senso c’è l’intenzione di avviare il dialogo con il generale Khalifa Haftar. Se le milizie di Misurata infatti stanno perdendo terreno, da Bengasi i miliziani sono avanzati alcune decine di chilometri verso Sirte.
Il co-presidente della riunione di Vienna e ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha detto: “Haftar potrebbe rivelarsi un alleato importante nella guerra contro il terrorismo. Ma occorre che prima riconosca l’autorità del governo di Sarraj”.
Pinotti: “Per stabilizzare la Libia bisogna chiedere ai libici come fare”
Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, in una conferenza all’Ispi ha detto che “L’Italia ha sempre detto che per stabilizzare la Libia bisogna chiedere ai libici come fare”, osservando che in “passato si è visto che la robustezza militare importata e vissuta come uno sfregio all’orgoglio di un Paese ha alimentato i fenomeni di terrorismo”. Pinotti si è detta convinta che un buon punto di partenza “è la proposta fatta da Sarraj di un comando unificato di chi sta combattendo l’Isis in Libia”.
Stati Uniti, Italia e molti dei Paesi occidentali, dunque, sostengono il nuovo governo di accordo nazionale, il cui premier Fayez Al Sarraj si è insediato a Tripoli, tra infinite difficoltà, dallo scorso 30 marzo. Per circa due ore il segretario di Stato Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, assieme a Sarraj hanno messo a punto gli ultimi dettagli del nuovo piano che vorrebbe porre fine al caos e rafforzare il nuovo governo di unità nazionale a Tripoli. A conclusioni del vertice sulla Libia a Vienna, 20 Paesi, tra i quali i membri del consiglio di sicurezza dell’Onu e l’Egitto, hanno sottoscritto una dichiarazione che riconosce l’operatività del governo di unità nazionale del premier designato Sarraj e apre la strada all’alleggerimento dell’embargo Onu mediante una revoca parziale per permettere agli Stati occidentali di aiutare il governo con armi, con l’addestramento, l’equipaggiamento della Guardia presidenziale e l’intelligence per la lotta all’Isis, con una strategia concreta per il contrasto al traffico di esseri umani. Il sostegno al governo nazionale, dunque, non prevede nessun intervento militare straniero.
Sulla Libia vige un embargo sulle armi
Sulla Libia vige tuttora un embargo sulle armi alzato dalle Nazioni Unite in seguito all’inizio del conflitto interno. Ora sarà il Comitato per le sanzioni dell’Onu a concedere la deroga nei confronti della Guardia presidenziale. Nel Consiglio di sicurezza permangono posizioni scettiche, come quelle della Russia (legata all’Egitto) e della Cina, che temono che una volta inviate le armi nel territorio libico, queste possano finire in mani sbagliate. Sarraj, infatti, basa il suo consenso su accordi stretti con gruppi di potere politici, economici e militari tripolitani, che hanno giurato fedeltà al Gna (il governo di accordo nazionale), ma che hanno comportamenti volatili. A Vienna gli scetticismi sono stati apparentemente superati, grazie a Stati Uniti ed Europa che si sono fatte garanti. La Libia, poi, è già molto fornita di armamenti d’ogni genere sottratti, dopo il 2011, dagli arsenali del colonnello Gheddafi, altri importati clandestinamente negli anni successivi.
Nella dichiarazione congiunta post-summit si legge anche l’apprensione per la questione immigrazione: “Non vediamo l’ora di collaborare con i Paesi vicini Gna per far fronte alla minaccia rappresentata in tutto il Mediterraneo, e sui suoi confini terrestri, da organizzazioni criminali impegnate in tutte le forme di contrabbando e traffico, tra cui quello degli esseri umani”.
Il ministro degli Esteri Gentiloni ha dichiarato: “La stabilizzazione della Libia è la riposta chiave per i rischi che corriamo e per stabilizzare la Libia abbiamo bisogno di un governo”. E ha aggiunto: “Il messaggio del nostro incontro è un messaggio politico perché stiamo sostenendo le recente decisioni del governo di accordo nazionale. Prima di tutto: la costituzione di una guardia presidenziale che sosterremo e di un comando congiunto per combattere l’Isis”.
Nessun intervento militare di terra
Precisando che non ci saranno “boots on the ground”, nessun intervento militare di terra, il titolare della Farnesina ha concluso: “La Comunità internazionale darà il suo sostegno al Consiglio presidenziale che chiede di togliere l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi e le munizioni affinché il governo possa combattere l’Isis e gli altri gruppi terroristi”.
In conferenza stampa congiunta il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha detto: “Oggi è stato compiuto un passo avanti”. “E’ imperativo che la comunità internazionale sostenga il governo Sarraj, che è l’unico legittimo della Libia e ora deve iniziare a lavorare”. Kerry ha aggiunto: “Appoggeremo il consiglio di presidenza e cercheremo di revocare l’embargo e fornire gli strumenti necessari per contrattaccare Daesh”, premendo per una “urgente soluzione della situazione” in Libia.
A margine dei lavori la responsabile della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, ha detto: “Finalmente c’è una strategia sostenibile. E non è imposta”, ma condivisa. Già nei prossimi giorni “verrà avviato l’addestramento della Guardia costiera libica”, non necessariamente nelle acque territoriali. Mogherini ha spiegato: “Valuteremo caso per caso con i libici, se avranno bisogno di aiuto”, annunciando che diversi milioni di euro stanziati dall’Ue sono già impiegati, sia sul fronte dell’emergenza in mare che per il controllo delle frontiere terrestri. Ma anche per consentire all’Oim e all’Unhcr di assistere in Libia gli oltre 500.000 tra sfollati, profughi e rimpatriati che affollano le coste del Paese Nordafricano.
In realtà intervenire in Medioriente e Nordafrica per la comunità internazionale sarebbe difficile, con stati disgregati, dove milioni di persone si sono trasformate in un’enorme massa di profughi e dove le potenze internazionali, al di là delle dichiarazioni di facciata, sono schierate con le varie fazioni su fronti opposti. Un quadro complesso e frammentato, con centinaia di fazioni, milizie, clan e tribù.
Intervenire in Medioriente e Nordafrica è difficile
Dopo aver riconosciuto il Parlamento di Tobruk come l’unico rappresentante del popolo libico nell’agosto 2014, l’Occidente adesso vuole applicare l’accordo di Skhirat del 17 dicembre 2015, ribadito in gennaio anche a Roma, che prevede un governo di unità nazionale nella capitale che dovrebbe restituire coesione al Paese e condurre la guerra contro lo Stato Islamico a Sirte. Il generale Haftar, che impedisce al Parlamento di Tobruk di votare l’esecutivo di Tripoli, è stato sostenuto finora dall’Egitto, dalla Francia (che da un lato in sede Onu sostiene il governo unitario, mentre dall’altra continua a sostenere Tobruk, suffragando le milizie del generale con corpi di intelligence) e dagli Emirati. Così come le altre fazioni, a Tripoli e Musurata, hanno i loro sponsor internazionali. La Cirenaica, custodisce oltre il 70% delle riserve petrolifere della Libia, è sempre stata al centro degli avvenimenti politici e militari decisivi nella storia del paese.
E’ in questa regione che dilagò la resistenza contro la potenza occupante italiana guidata da Omar el Mukhtar sotto l’influenza della confraternita della Senussia, cui apparteneva anche re Idris, il quale fu quasi costretto dagli inglesi a diventare il monarca di tutta la Libia. È sempre in Cirenaica che il Colonnello Muammar Gheddafi e i suoi compagni proclamarono, con un colpo di stato, la rivoluzione il 1° settembre 1969, ed è qui che nel 2011 è esploso il processo insurrezionale, appoggiato dalla Francia di Sarkozy, che ha messo fine al regime dopo otto mesi di guerra civile. La storia si ripete e e la Cirenaica potrebbe nuovamente sconvolgere i piani delle Nazioni Unite e degli Stati occidentali che prevedono il rafforzamento a Tripoli di un governo di unità nazionale, dal momento che a Bengasi e Tobruk c’è la maggiore opposizione al governo. Gli interessi italiani sono concentrati in Tripolitania ma la partita comprende, oltre alle questioni energetiche ed economiche dell’Eni e dei terminali del gas, il problema dell’afflusso dei profughi e la stabilità dell’intera Sponda Sud. Non solo.
La campagna di fine giugno all’Onu
L’Italia si gioca la partita libica e la partecipazione militare alla missione in Iraq anti-Isis, insieme al vertice africano di Roma di mercoledì, nella campagna di fine giugno all’Onu per l’assegnazione di un seggio non permanente al Consiglio di Sicurezza che determinerà lo status nel Mediterraneo, in Medio Oriente e in Europa.
Ora il Vertice di Vienna ha aperto la strada ad una revoca parziale dell’embargo Onu per aiutare la lotta all’Isis del governo di Serraj con il rifornimento di armi. La Libia, però, è un Paese già ben fornito di missili, mitra, bombe, munizioni di ogni tipo e calibro saccheggiati nel 2011 dagli arsenali del Colonnello Gheddafi e importati dagli attori regionali interessati a difendere le milizie loro alleate. Secondo l’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia, dal 2005 al 2012 le autorizzazioni dei governi ad esportare armi in Libia sono state di 431,7 milioni di euro per la Francia, 375,5 per l’Italia, 161,8 per la Gran Bretagna, 95,9 per la Germania e 22,9 per il Belgio. Quanto alle consegne effettive sono state di 248,2 milioni di euro per la Francia e 177,5 per l’Italia. Il nostro Paese ha sempre primeggiato in Libia per l’export di armi soprattutto durante il regime di Gheddafi. Lo scorso 4 maggio è stata resa ufficialmente la 17° relazione dell’Ue sulle esportazioni di armamenti relativa all’anno 2014. Secondo la Rete italiana per il disarmo (Rid) e l’European Network Against Arms Trade (Enaat) molti dei maggiori esportatori non forniscono all’Ue i dati sulle esportazioni effettive (consegne) di armamenti, come il Regno Unito e la Germania o non rivelato i dati sulle esportazioni secondo le specifiche categorie di sistemi militari, come la Francia e l’Italia.
Oggi al centro dell’incontro la Siria
Dopo la Libia oggi al centro dell’incontro del Vertice internazionale sulle aree di crisi in Medioriente a Vienna, c’è stata la Siria.
Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, incontrando i giornalisti a margine della riunione, ha detto che il gruppo di sostegno alla Siria “sta lavorando con l’obiettivo di riprendere in mano una situazione che nelle ultime settimane si è deteriorata”. “Obiettivo” dell’incontro di questa mattina è stato “ridare slancio al processo” negoziale per la Siria attraverso “un stringente controllo delle violazioni del cessate il fuoco, anche coinvolgendo il Consiglio di sicurezza dell’Onu, un accesso umanitario alle 18 città assediate dal regime e opposizione, la ripresa dei negoziati a Ginevra entro fine mese”. Gentiloni ha insistito nel sottolineare che “questa è la crisi più drammatica degli ultimi anni”.
Il segretario di stato Usa, John Kerry e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, in conferenza stampa, hanno illustrato l’esito dei colloqui al vertice di Vienna e hanno chiesto l’immediata cessazione delle ostilità in Siria. Il segretario di Stato americano ha sottolineato che il primo agosto come data di avvio dei colloqui per la transizione politica in Siria è “un obiettivo, non una scadenza”. Kerry ha detto che il presidente siriano Bashar al-Assad e i “suoi sostenitori” non saranno “mai al sicuro” se non ci sarà la pace in Siria.
Il cessate il fuoco vale per tutta la Siria
Kerry ha incalzato dicendo che Assad “ha evidentemente violato le risoluzioni Onu”, il cessate il fuoco vale per tutta la Siria, e non solo in alcuna zone. Il segretario di Stato Usa ha detto che il Gruppo di sostegno sulla Siria, ha raggiunto un accordo per trasformare la tregua in un vero cessate il fuoco nel Paese. E ha affermato che “Oggi è stato compiuto un passo avanti”. Kerry e Lavrov hanno sottolineato che le violazioni verranno perseguite in vario modo. Chi viola la tregua in Siria potrà essere espulso dal processo negoziale. Kerry ha spiegato che è stata “definita una cornice di base” per rendere effettivo il cessate il fuoco e “implementare il processo di Ginevra”.
Kerry e Lavrov hanno intimato che anche gli aiuti umanitari “devono raggiungere le città” assediate. Il ministro degli Esteri russo ha detto che il vertice ha registrato “un avanzamento in tutte le direzioni dei lavori intrapresi per arrivare ad una soluzione della crisi siriana”. Lavrov, a conclusione della riunione del Gruppo di sostegno, ha detto che “ci sono le basi per un nuovo round di colloqui inter-siriani” per la pace. Lavrov ha detto che “La Russia si è assunta la responsabilità di lavorare più attivamente con il governo siriano mentre gli Usa con l’opposizione”. E ha aggiunto: “La Russia e gli Usa hanno una responsabilità particolare affinché le decisioni prese al livello del consiglio di sicurezza dell’Onu e del gruppo internazionale per la Siria siano eseguite”.
Vescovi, religiosi e consacrati cattolici, hanno lanciato un’iniziativa per chiedere che l’Unione Europea ponga fine alle sanzioni ancora in atto contro la Siria: Una petizione digitale da sottoscrivere online sulla piattaforma Change.org, rivolta “ai parlamentari e ai sindaci di ogni Paese” per chiedere che “l’ iniquità delle sanzioni alla Siria sia resa nota ai cittadini dell’Unione Europea, oggi assolutamente ignari, e diventi, finalmente, oggetto di un serio dibattito e di conseguenti deliberazioni”.