Oggi, al termine del summit, è stato diffuso il comunicato finale del vertice G7 di Ise-Shima in Giappone.
Tre obiettivi: crescita, crisi dei migranti, terrorismo
Nel documento sono stati individuati tre obiettivi: la crescita come priorità, la crisi dei migranti come sfida globale, il terrorismo come minaccia alla pace. Nel comunicato si legge: “La crescita globale è la nostra urgente priorità”. I “migranti e i rifugiati sono una sfida globale che richiede una risposta globale”. Dunque il documento ha accolto l’appello lanciato dall’Unione europea ai partner. Nel comunicato si legge che il G7 “incoraggia l’ammissione temporanea” e gli schemi di ricollocamento.
Il documento riconosce anche che “Bisogna aumentare l’assistenza globale per sostenere le esigenze dei rifugiati, delle comunità che li ospitano” e cooperare con “i nostri partner, specialmente quelli in Africa, in Medio Oriente e nei paesi confinanti di origine e transito”, “per alleviare la pressione dei paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati. I grandi del mondo non hanno mancato di evidenziare i potenziali shock di origine non economica. Un’uscita del Regno Unito dall’Ue potrebbe “invertire il trend verso un maggiore commercio mondiale e investimenti, con i posti di lavoro collegati, e rappresenta un serio rischio per la crescita”. In merito alla lotta al terrorismo i leader mondiali hanno dichiarato: “Condanniamo duramente il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni. Siamo preoccupati dell’aumento degli attacchi”.
I riscatti “non devono essere pagati”
L’appello dei leader è quello di combattere le fonti di finanziamento tra le quali i riscatti che “non devono essere pagati”. Sul fronte delle crisi internazionali, nella dichiarazione si fa riferimento anche alla Libia, per ribadire che i sette grandi lavorano “accanto al governo di unità nazionale” di Sarraj come “il solo e legittimato governo della Libia e ci appelliamo a tutte le parti libiche affinché lo riconoscano”.
Nella giornata conclusiva del summit il premier Matteo Renzi ha avuto una fitta serie di incontri bilaterali: ha visto il collega canadese Justin Trudeau e i leader di Papua Nuova Guinea, Laos, Vietnam e Sri Lanka. Renzi ha dichiarato: “Ci vuole l’orgoglio di essere italiani che trova in queste ore la concretizzazione in un mix che è il mix di valori umani che rappresentiamo continuando a impegnarci nel Mediterraneo, il mix della scommessa strategica con il Migration compact”.
Renzi: “Nel nostro G7 terremo insieme sogno e concretezza”
Poi nel ribadire la volontà di organizzare il prossimo G7 in Sicilia, Renzi ha detto: “Nel nostro G7 terremo insieme sogno e concretezza. Farlo in Sicilia non è un caso. La Sicilia della Magna Grecia, della bellezza, della filosofia, del barocco ma anche del volontariato e del farsi carico degli altri”. Già ieri il premier aveva spiegato che “non è una polemica con altri territori. Era un dovere morale farlo al sud e in Sicilia”. Il premier ha assicurato: “Sarà un appuntamento importante, il primo con nuovo presidente o una nuova presidente americana, dopo le elezioni francesi e prima di quelle tedesche. Dobbiamo fare le ultime verifiche tecniche ma la nostra proposta sarà Taormina” o altri luoghi ma sempre in Sicilia.
La Russia è stata ancora una volta la grande assente al summit. Il vice ministro degli Esteri russo, Serghiei Riabkov, ha protestato per le dichiarazioni del G7 sulla necessità di prolungare le sanzioni contro la Russia. Riabkov ha affermato che le sanzioni sono “assurde, perché i partecipanti di questa struttura pongono l’esecuzione degli accordi di Minsk” per il conflitto ucraino “come condizione per abolire le sanzioni”. Il vice ministro ha spiegato che “La richiesta di ritirare le forze straniere dal Donbass non ha a che fare con la realtà perchè non ci sono truppe straniere nel Donbass”, ribadendo la posizione di Mosca che respinge le accuse di sostenere i separatisti del sud-est ucraino con armi e combattenti. Riabkov ha aggiunto: “La seconda richiesta, che riguarda il ripristino del controllo del confine” da parte ucraina “è inserita negli accordi di Minsk come tappa finale della loro esecuzione”.
Riabkov: il G7 “mette ancora una volta il carro davanti al cavallo”
Riabkov ha accusato il G7 di “mettere ancora una volta il carro davanti al cavallo” e Kiev “di non mettere in atto gli accordi di Minsk nei punti chiave”.
Al termine del G7 a Ise-Shima, accompagnato dal premier giapponese, Shinzo Abe, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dopo una breve visita al museo, ha percorso il tratto iniziale del Peace Memorial Park e deposto una corona di fiori in memoria delle 140mila vittime del bombardamento atomico statunitense su Hiroshima del 1945. Fu una spaventosa decisione del suo predecessore Truman quella di gettare la neonata bomba atomica sul centro di una città. Dopo essersi congedato da Abe, prima di arrivare a Hiroshima, il presidente si è recato nella base militare di Iwakuni per salutare e ringraziare i soldati americani.
Obama a Hiroshima quasi 71 anni dopo
La visita di Obama a Hiroshima è avvenuta quasi 71 anni dopo che la città fu devastata dall’ordigno nucleare sganciato dagli americani.
Obama non si è scusato a nome dell’America. Diventato presidente nel 2009, Obama è stato insignito del premio Nobel lo stesso anno per il suo impegno a incoraggiare lo smantellamento delle armi atomiche, un auspicio espresso nel famoso discorso di Praga dello stesso anno. Il presidente degli Stati Uniti ha detto: “Settantuno anno fa la morte è arrivata dal cielo e il mondo è cambiato”, ricordando che “La guerra nucleare ha raggiunto qui il suo picco peggiore”. Obama ha detto che il diritto alla vita e alla libertà “è un ideale per il quale battersi” e che il mondo deve “prevenire le guerre attraverso la diplomazia” e lavorare per “raggiungere un mondo senza più l’atomica”. “Dobbiamo fare il possibile per distruggere gli armamenti o bloccare i fanatici dall’impadronirsi di questi armamenti”. Nel discorso che ha seguito quello di Obama il premier nipponico, Shinzo Abe, ha detto: “La visita del presidente Obama apre un nuovo capitolo per la riconciliazione dei rapporti tra Giappone e Stati Uniti”.
A cura di Roberta d’Eramo