Sono addirittura 26 i consiglieri comunali, convinti dal commissario del Pd romano, Matteo Orfini,
Marino: “Li voglio incontrare uno ad uno”
che hanno consegnato le dimissioni per consentire lo scioglimento dell’assemblea capitolina (dalla quale si erano già dimessi otto assessori) e, di conseguenza, la decadenza di Ignazio Marino dalla sua carica. Uno più del quorum, ovvero 25, il numero di consiglieri dimissionari necessario per far cadere consiglio e giunta in Campidoglio. Oltre ai 19 del Pd, infatti, ieri pomeriggio Orfini, accanto al quale è sceso in campo anche Luca Lotti, l’uomo più fidato di Matteo Renzi, ha persuaso altri 7 consiglieri a dimettersi, di cui due della maggioranza, Daniele Parrucci di Centro democratico e Svetlana Celli della Lista Civica Marino, e 5 dell’opposizione, Alessandro Onorato e Alfio Marchini della Lista Marchini, Ignazio Cozzoli e Francesca Barbato della lista di Fitto Conservatori riformisti, Roberto Cantiani del Ncd. M5S e Sel, invece, non hanno voluto firmare le dimissioni. Il consigliere del VI municipio, Valter Mastrangeli, racconta: “Orfini ci ha ricattato. Quando lo abbiamo incontrato ci ha detto di sfiduciare il presidente altrimenti non saremmo più stati ricandidati”. Mastrangeli lo dice perchè dichiara: “Il Pd si deve prendere le sue responsabilità davanti ai cittadini”. Oggi, dunque, 25 consiglieri comunali hanno firmato le loro dimissioni davanti ad un notaio, prima nella sede dei gruppi, in via del Tritone. Poi 26 in Comune (dove ai 25 si è aggiunto Alfio Marchini, arrivato a Roma più tardi), contestualmente, come prevede la legge, sempre alla presenza del notaio, che ha consegnato il documento al segretario generale di Roma Capitale, perchè venga protocollato. Ora le dimissioni sono formali e il Prefetto di Roma dovrà nominare un commissario. Marino si era illuso e aveva detto: “Se vogliono cacciarmi, devono dirlo guardandomi negli occhi. Li voglio incontrare uno ad uno, singolarmente. E poi vedremo cosa succederà in Aula”. L’intenzione del sindaco, infatti, era quella di far emergere la spaccatura che, secondo lui, esiste tra i consiglieri dem, mostrando la lacerazione del partito romano, che messa a nudo, danneggerebbe il futuro politico del Pd. Ma non è andata così perchè ieri la rabbia dei vertici del Pd non è stata più dissimulata. Dopo il ritiro delle dimissioni di Marino, infatti, è partita la resa dei conti. Fonti Dem, infatti, dicono che sarebbe stato dichiarato: “Ha scelto lui questo epilogo. Non gli concederemo la passerella che desidera. Entro domani sarà tutto finito”. L’ormai ex sindaco, però, non ci sta e, in una conferenza stampa, in Aula, alle 18, dichiara: “Auspicavo che la crisi si chiudesse in Aula con un dibattito chiaro e trasparente non dal notaio, segno di una politica che discute e decide fuori dalle sedi democratiche riducendo gli eletti a persone che ratificano decisioni assunte altrove: ciò nega la democrazia”. E aggiunge: “Se mi avessero lasciato parlare ecco cosa avrei detto. “Avrei detto che Roma è ritornata una città virtuosa”. E ha ricordato che la sua amministrazione ha “trovato 874 milioni di debiti e ora i conti sono in ordine e possono ripartire gli investimenti: ora abbiamo sbarrato le porte al malaffare, riconquistato lo spazio pubblico, impostato un nuovo ciclo dei rifiuti chiudendo Malagrotta”. E continua: “Abbiamo allargato, ed io ne sono orgoglioso, i diritti per tutti e tutti… Abbiamo attratto nuovi investimenti per la nostra città, l’abbiamo candidata a Roma 2024, abbiamo programmato il nuovo stadio, un investimento da 1,3 miliardi di euro e 5mila posti di lavoro… abbiamo smesso, e questo ha dato fastidio a qualcuno, di costruire e riempire di cemento l’agro romano”. E denuncia: “Mi è stato negato il confronto in aula e chiedo ancora perchè… prendo atto che i consiglieri si sono sottomessi e dimessi per evitare il confronto pubblico. Oggi è dimostrata la mancanza di rispetto per i cittadini romani”. Poi aggiunge: “Questo Partito”, “che ho voluto e fondato”, “mi ha deluso per il comportamento dei suoi dirigenti perchè ha rinunciato alla democrazia tradendo ciò che ha nel suo dna. In un dibattito aperto e franco in aula, avrei accettato la sfiducia a viso aperto o avrei detto di andare avanti, avrei detto di fare ciò che è più giusto e non ciò che è più conveniente, per una politica al servizio degli altri e non dei propri vantaggi”. E conclude: “Chi mi ha accoltellato ha 26 nomi e un unico mandante… Quando un familiare ti accoltella, dopo pensi: “ma è stato un gesto inconsulto o premeditato?” Io questa riflessione non l’ho ancora fatta”. E come se non bastasse aggiunge: “In un anno non ho affatto avuto un rapporto turbolento con Renzi, nell’ultimo anno non ho avuto nessun rapporto… Io non ho capito quali errori mi si rimproverano su un programma che il centrosinistra ha sostenuto. In Aula avrei ascoltato come si fa in democrazia. Si può uccidere una squadra ma non si possono fermare le idee… Spero non si torni indietro, non è in gioco il futuro di Ignazio Marino ma di Roma”. In una nota i consiglieri Gianluca Peciola, Gemma Azuni, Imma Battaglia e Annamaria Cesaretti, di Sel, dichiarano: “Le dimissioni dei consiglieri rappresentano uno scippo della sovranità democratica a Roma. Il centro destra di Renzi affossa la democrazia nella nostra città, una pagina inquietante che deve preoccupare tutti. Un capo del governo eletto da nessuno sfiducia un sindaco eletto dal popolo. Vedere la destra estrema festeggiare in piazza del Campidoglio è un fatto che deve interrogare”. I consiglieri capitolini del M5S, invece, dichiarano: “Si voti”. “Insieme a Marino hanno violentato la nostra città. Apprendiamo che 26 consiglieri tra esponenti Pd, CD, Fdi e lista Marchini, si sono dati all’ammucchiata per far cadere Marino. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, se non fosse che queste persone avrebbero potuto sottoscrivere la nostra mozione di sfiducia depositata a giugno per far dimettere il Sindaco, ma hanno preferito restare ancorati alla poltrona fino all’ultimo giorno, trascinando Roma nel fosso, per di più a poche settimane dal Giubileo, usando la nostra città, violentandola e infangandola”.”Un comportamento tipico della vecchia politica, condito da giochini e retroscena che non ci appartengono. Anzi, che ci disgustano. Sia chiaro noi continuiamo a camminare a testa alta, dentro e fuori dal Campidoglio. Roma è con noi, ora le urne”. Forse, ora, giunge il momento dei ripensamenti. La consigliera del Pd, Valentina Grippo, dice: “È una fine ingloriosa, un tristezza infinita. Noi siamo stati messi tra due fuochi: un sindaco che non si è fatto aiutare e un partito che ci ha detto che era finita, ma adesso che siamo liberi cittadini, parleremo”. E il segretario romano di Sel, Paolo Cento, in piazza del Campidoglio, dice: “È una pessima giornata per la democrazia a Roma. Il fatto che si sciolga il consiglio comunale e si impedisce un dibattito trasparente è una anomalia che deve essere denunciata. Mi sorprende negativamente lo schieramento delle firme dei dimissionari: il Pd con la lista Marchini e pezzetti di centrodestra. Mi pare che sia una operazione di trasformismo che prefigura un alleanza del Pd con Marchini”.