Quello del prossimo 17 aprile è un referendum abrogativo
“Il Pd trivella la democrazia”
sulla legge ambientale che regola le trivellazioni in mare. Occorre, cioè, che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Votando “sì”, i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma sottoposta a referendum. Una vittoria del “sì”, infatti, obbligherebbe le attività petrolifere a cessare di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane, progressivamente, secondo la scadenza fissata al momento del rilascio delle concessioni. In caso di vittoria del “no” (o di mancato raggiungimento del quorum), le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero scadenza certa, ma proseguirebbero fino ad esaurimento del giacimento. Sono nove le regioni che hanno promosso il referendum: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Secondo lo schieramento di associazioni e organizzazioni della società civile, che hanno creato il comitato “Vota SI, per fermare le trivelle”, si tratta “dell’occasione che gli italiani hanno per smentire la strategia energetica del governo, fondata sul miraggio di estrarre le pochissime risorse fossili disponibili sotto i nostri fondali, arrestando intanto la crescita delle energie rinnovabili”. “E’, in altre parole, la direzione opposta agli impegni presi dall’Italia e da tutte le grandi economie del mondo nel vertice di Parigi di tre mesi fa. E è anche una strategia che, se perseguita, condannerà l’Italia a rimanere ostaggio di gas e petrolio, fonti di cui non siamo affatto ricchi e che in larghissima misura importiamo”.
Si sono schierati a favore della battaglia ecologista Matteo Salvini e Beppe Grillo che, nel suo blog, ha lanciato un appello contro “la devastazione delle nostre coste e del nostro Mediterraneo”. A favore del no ci sono anche coloro che non vorrebbero bloccare gli scavi perché portano lavoro a migliaia di occupati nel settore dell’estrazione di idrocarburi.
I quesiti referendari proposti erano in tutto sei. In un primo tempo l’Ufficio centrale presso la Corte di Cassazione li aveva accolti tutti. Ma il governo aveva cercato di evitare il referendum, introducendo una serie di norme nella legge di Stabilità che hanno ribadito il divieto di trivellazioni entro le 12 miglia mare. La Cassazione ha dovuto quindi nuovamente valutare i referendum e a quel punto ne ha ritenuto ammissibile solo uno, il sesto: il quesito riguarda l’abrogazione della norma che prevede che i permessi e le concessioni già rilasciati abbiano la “durata della vita utile del giacimento”. L’esecutivo, che è sempre stato contrario alla consultazione, però, finora era rimasto in silenzio. Ma oggi la linea della segreteria del Partito democratico sul quesito sulle trivelle ha aperto un nuovo fronte nel Pd.
In una nota Roberto Speranza, deputato della minoranza Pd che guida Sinistra riformista, oggi ha affermato: “Apprendo dal sito dell’Agcom che il Pd avrebbe assunto la posizione dell’astensione al referendum di Aprile sulle trivelle in mare. Spero che ciò non sia vero”. E ha spiegato: “È una posizione che non condivido affatto e che non credo possa essere compresa da una parte significativa dei nostri elettori. Al netto di una discussione di merito che sarebbe bello fare anche con chi legittimamente può pensarla diversamente mi chiedo come e dove sarebbe stata assunta questa scelta. La segreteria non si riunisce da mesi. La direzione e l’assemblea non mi risulta abbiano mai discusso di questo referendum. Si può andare avanti così?”. Speranza ha fatto riferimento a un documento dell’Autorità garante per le comunicazioni che elenca i soggetti politici, favorevoli, contrari o che hanno scelto l’astensione sul referendum del 17 aprile. Nel comunicato Agcom risulta che il Partito democratico ha scelto l’astensione.
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, intervistato dal Tg di Tv2000, che ha reso nota l’informazione, sul presunto invito all’astensione da parte del Pd al referendum ha sostenuto: “Non mi risulta che il Partito democratico abbia assunto nell’assemblea che si è svolta pochi giorni fa alcuna decisione su questo punto così importante e nevralgico per la politica energetica del Paese. Credo che si tratti di un refuso burocratico ma se non fosse così deve essere cambiato lo Statuto del Partito democratico”. Emiliano ha aggiunto: “Ci deve essere un meccanismo nel quale la linea politica del partito viene stabilita da organismi che io non conosco e questo non può essere. Quindi lo escludo nella maniera più assoluta”. Emiliano ha concluso: “Una posizione del partito è necessaria ma da quello che mi risulta non è stata ancora adottata. Non vorrei che anche su questo si adottasse la tecnica del “detto non detto”, che ha in qualche maniera inficiato la credibilità del Pd su tutta la vicenda del referendum”.
A Emiliano ha risposto Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana che ha detto: “Mi dispiace dover dare una brutta notizia all’amico Michele Emiliano e anche a tanti esponenti della minoranza del Pd che esprimono stupore in queste ore, ma abbiamo appena finito la riunione della commissione parlamentare di Vigilanza Rai che doveva esaminare le richieste d’accesso alle tribune elettorali per il referendum contro le trivelle di domenica 17 aprile. E la brutta notizia è che il Pd ha annunciato la propria posizione di astensione al referendum”. Fratoianni ha spiegato: “Non si tratta quindi di equivoco o di incidente burocratico bensì di posizione politica ufficiale”.
Il capogruppo M5s alla Camera, Michele Dell’Orco, ha affermato: “Il volto del Pd è pro trivelle, questo è evidente. Prima la minoranza vota lo sblocca Italia, poi gioca la parte dell’opposizione in alcune regioni ed infine mette la faccia sull’astensione come dimostra l’adesione formale agli spazi contro il referendum riportata dall’Agcom. Il Pd trivella la democrazia”. E ha continuato: “Stupiscono le dichiarazioni di parlamentari della minoranza Pd oggi che si chiedono chi ha deciso l’adesione agli spazi pro astensione anche in televisione. Lo ha deciso il loro segretario, il loro padre-padrone. Se vogliono essere coerenti e votare il referendum possono farlo, non serve abbaiare in politichese senza prendere davvero posizione”.
La risposta alla domanda “Chi l’ha deciso?”, è arrivata dopo qualche ora sotto forma di una nota firmata dai vicesegretari del Pd, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani. Nella nota si legge: “Questo referendum è inutile. Non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle (che in Italia sono già bloccate entro le 12 miglia, normativa più dura di tutta Europa)”. La nota prosegue: “Di questo parleremo durante la direzione di lunedì, ratificando la decisione presa come vicesegretari. Chi vuole dare un segnale politico, fa politica: non spende 300 milioni del contribuente. Lunedì vedremo chi ha i numeri – a norma di Statuto – per utilizzare il simbolo del Pd”.
L’ufficializzazione della posizione del partito ha scatenato diverse reazioni, oltre l’imbarazzo dei rappresentati delle nove regioni in prima linea per il referendum, sette delle quali sono amministrate dal Pd.
Il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza ha affermato: “C’è ancora tempo. Sono iscritto al Pd, ci resto e non mi astengo. E farò campagna referendaria per il SI al referendum del 17 aprile. Insieme a circa cento consiglieri regionali, iscritti al Pd ed espressione di centinaia di migliaia di preferenze dirette, ho promosso e votato i quesiti referendari. Aggiungo che ci sono altre e numerose adesioni di consiglieri nelle regioni che non hanno promosso il referendum che si stanno mobilitando per le ragioni del “sì”. Centinaia di Sindaci e amministratori locali, iscritti e simpatizzanti al Pd hanno alimentato, con responsabilità e rispetto, il dibattito avviato dal decreto Sblocca Italia e sulle conseguenze negative per il territorio. Mesi di discussioni aperte e trasparenti, dibattiti che hanno attraversato le istituzioni e che hanno attraverso l’art. 75 della Costituzione italiana, portato al referendum. Il Pd avrebbe scelto l’astensione. Chi ha deciso questo strappo? Perché si è scelto di politicizzare il referendum con l’astensione? Un partito democratico può dire agli elettori di non votare?”.
Il senatore Pd Miguel Gotor ha spiegato: “Io andrò a votare e voterò sì perché mi sembra molto importante investire sulle energie rinnovabili. Fare trivellazioni entro dodici miglia dalla costa significa danneggiare l’eco-sistema. Poi questo è un referendum promosso da 9 regioni che riconoscono che c’è un problema. E io penso che sia importante per il Pd, per la sua coscienza ambientalista, dare questo segnale”. Gotor ha ribadito che “puntare sull’astensione è sbagliato ed è anche sbagliato che il governo abbia rifiutato di accorpare il referendum alle amministrative. Ciò avrebbe consentito un risparmio di 300 milioni che in un momento di crisi come questa avrebbe consentito di aiutare settori in crisi”.
Durissimo il giudizio degli ambientalisti. La presidente di Legambiente, Rossella Muroni, ha accusato: “È scandaloso che il Partito Democratico si sia iscritto tra i soggetti politici che faranno campagna per l’astensione al referendum del 17 aprile. C’è qualcosa che non funziona nel fatto che il partito del presidente del Consiglio inviti pubblicamente gli italiani a non recarsi alle urne”. E ha aggiunto “Che al governo questo referendum non piaccia non è cosa nuova. Un chiaro segnale è già arrivato dalla scelta della data del 17 aprile, con tempi strettissimi per informare i cittadini sul quesito, e dal rifiuto di optare invece per un election day che, accorpando il referendum alle elezioni amministrative, avrebbe lasciato più tempo per coinvolgere gli italiani e consentito un risparmio non indifferente di 360 milioni di euro alle casse dello Stato”.
Per il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, Andrea Boraschi “per una forza politica che vorrebbe fare della partecipazione dei cittadini alle scelte uno dei suoi tratti distintivi, invitare al non voto è incoerenza pura”.