Aveva iniziato Massimo D’Alema a dar fuoco alla miccia, già prima dei ballottaggi.
Un retroscena su La Repubblica aveva fatto esplodere le polemiche
La pubblicazione di un retroscena su La Repubblica, infatti, contenente indiscrezioni in merito al voto dell’ex premier a favore di Virginia Raggi, piuttosto che del candidato del Pd, Roberto Giachetti, salvo poi smentire, aveva fatto esplodere le polemiche.
Poi, a ballottaggi avvenuti, era stato il padre fondatore del Pd, Romano Prodi, in un’intervista a La Repubblica dal suo ufficio di Bologna, ad osservare i risultati che, secondo lui, parlano chiaro. L’ex premier faceva notare come “La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure”. “Non basta guardare il voto di questa o di quella città. C’è un’ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perché pur nell’indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l’insicurezza economica, la paura sociale e identitaria”.
La radice è la diseguaglianza
“La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga… Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale”.
“Un Pd de-ideologizzato non è in grado di dare risposte al popolo di sinistra. Devi dimostrare di capire e di andare incontro ai problemi. Il rinnovamento per il rinnovamento non è una risposta sufficiente”. “Cambiare politiche, non solo politici. Se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni”. “Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei governi che dei populismi. Ma dura poco, perché la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i politici perché spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà almeno la speranza concreta di poterle cambiare”.
D’Alema: “Renzi sta rottamando alcuni milioni di elettori”
Ieri D’Alema ha ulteriormente infierito concedendo al Corriere della Sera un’intervista in cui, commentando i risultati elettorali, ha attaccato Renzi: “Una parte molto grande dell’elettorato di sinistra non si riconosce nel Pd, non lo sente come proprio, non si mobilita. Ho fatto campagna elettorale, là dove mi hanno chiamato. Ho trovato anche qualcuno che diceva: non dovete disturbare Renzi, ma anche tanti con un sentimento di avversione. Lui non si è limitato a rottamare un gruppo dirigente; sta rottamando alcuni milioni di elettori”. Quanto alla mancata vittoria di Piero Fassino a Torino, D’Alema ha dichiarato: “Mi è spiaciuto moltissimo. A Piero mi lega un rapporto personale di alcuni decenni. Non meritava questa sconfitta. E non meritava di sentirsi dire, dopo aver sostenuto Renzi in tutti i modi, che abbiamo perso perché avevamo volti vecchi”. “Renzi, com’è noto, è convinto di essere il Blair italiano. Ma Blair si circondò del meglio del suo partito, non di un gruppetto di fedelissimi. Blair prese il principale avversario, Gordon Brown, e lo fece cancelliere dello scacchiere. Volle ministri Robin Cook e Jack Straw, figure storiche del laburismo. Ma Blair era intelligente: capiva che doveva mettere insieme forze tradizionali con forze nuove in grado di attrarre. Se per attrarre 5 ne cacci 10, come si sta facendo, il bilancio è meno 5”.
L’Italicum è una “robaccia”
Renzi “Non mi pare una persona orientata a tenere conto degli altri e neanche della realtà”. “Eppure sarebbe necessario un cambio di indirizzo nell’azione di governo, e anche un cambio di stile. Compreso il rispetto che dovrebbe essere dovuto a una classe dirigente che ha vinto le elezioni e ha fatto cose importanti per il Paese: l’euro, le grandi privatizzazioni, la legge elettorale maggioritaria uninominale; non quella robaccia che ci viene proposta adesso”.
In merito all’Italicum, che secondo lui è “incostituzionale”, l’ex premier ha spiegato che “I sistemi ultramaggioritari funzionano quando i poli sono due”, “quando sono tre o quattro il ballottaggio diventa una roulette in cui una forza che al primo turno ha preso il 25% si ritrova con la maggioranza assoluta dei parlamentari, per giunta scelti dal capo”. D’Alema ha confermato che ad ottobre voterà “no” al referendum. Per l’ex premier “le ragioni di merito non sono molto diverse da quelle per cui votai no, nel 2006, alla riforma di Berlusconi. Che per certi aspetti era fatta meglio” perchè, (oltre a prevedere il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione dei parlamentari) “riduceva anche i deputati. E stabiliva l’elezione diretta dei senatori; non faceva del Senato un dopolavoro. Sarebbe stato meglio abolirlo”. “E una riforma sbagliata produce più danni di nessuna riforma. Questa peggiora le cose, perché riduce gli elementi di controllo democratico e, combinata con l’Italicum, trasforma il Parlamento nella falange di un capo”.
D’Alema: “Quando le elezioni vanno male la colpa si scarica sul partito”
Per quanto riguarda la segreteria del partito, poi, secondo D’Alema “Serve una figura che si occupi del Pd a tempo pieno. E serve una direzione collegiale. Il partito è stato volutamente lasciato senza guida. Lo si ritiene non importante oppure si scarica su di esso la colpa quando le elezioni vanno male. È tutto puntato sul leader e il suo entourage, neanche collaboratori. Renzi non convoca la segreteria, che pure è un organo totalmente omogeneo. Si riunisce solo con un gruppo di suoi amici”.
Oggi è stata la volta del ministro per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione, Marianna Madia, che in un’intervista a La Repubblica ha dichiarato: “Prodi ha fatto un’analisi lucida, che condivido appieno, su quello che è il problema centrale del mondo contemporaneo: l’ingiustizia crescente, che finisce per influenzare il voto dei cittadini, non solo in Italia. Basta guardare quel che è successo a Roma, dove il Pd è stato vissuto come ininfluente rispetto alla vita delle persone. Troppo ripiegato su se stesso, non ha capito il disagio delle periferie, della gente meno tutelata e più in difficoltà, che alla fine ci ha percepito come inutili, incapaci di dare risposte ai loro bisogni. E ha scelto chi invece gli offriva questa speranza”. E ha spiegato: “Il voto ci dice una cosa chiara: nella mia città, che non è l’ultimo borgo d’Italia, siamo stati rottamati dai cittadini. Il Pd non ha saputo ascoltarli. E ci hanno punito”.
Madia: “In questo momento tutti gli schemi di gioco sono saltati”
Secondo il ministro “adesso chi ha idee e forza d’animo deve farsi avanti. Penso che il partito, a Roma e negli altri territori dove siamo in difficoltà, debba essere “stappato”. E se a Roma “il tappo” è il presidente nazionale del partito, Matteo Orfini, allora “si dimetta da commissario” romano perché “non ci possiamo più permettere ostacoli al cambiamento. In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capo corrente la candidi”. “In questo momento tutti gli schemi di gioco sono saltati. E bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo”. “Credo che abbiamo fatto tante cose buone, non sempre comunicate bene. Ora con umiltà dobbiamo capire che ci sono dei bisogni a cui non siamo arrivati, e a cui dobbiamo provare a rispondere”.
Il vicesegretario, Lorenzo Guerini, interpellato dall’Ansa in Transatlantico, ha definito il contenuto delle riflessioni del ministro “oltremodo sbagliato”, commentando: “Io tengo sempre scolpita a mente una frase di Alda Merini che dice: “Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire”. Consiglierei a tutti più sobrietà nelle dichiarazioni. Orfini si è assunto la responsabilità di commissario di Roma dopo Mafia Capitale e lo ha fatto con grande impegno e determinazione, di cui va solo ringraziato”. Guerini ha invitato a “finirla con questo dibattito, un pò surreale, sul post elezioni di Roma: lavoriamo per ripartire e più che discutere tra di noi e su noi stessi, riprendiamo a confrontarci con i cittadini romani”.
Domani lo scontro nella direzione nazionale del Pd
Dopo la sconfitta elettorale dunque nel Pd la tensione è al massimo. Gli affondi sempre più pressanti a Renzi ne sono un segnale. E le nuove spaccature, oggi anche in seno alla maggioranza, lo dimostrano. Oggi alle 17.00 ci sarà una riunione della minoranza dem per fare il punto in vista dello scontro nella direzione nazionale di domani. La voglia di rimettere in discussione il governo del partito è diffusa. La linea è che “Ora Renzi compia una sterzata, altrimenti basta votare fiducie, no a deleghe in bianco”. L’opposizione interna, dunque, chiederà al premier un passo indietro dalla segreteria e un nuovo orizzonte per il governo. In questo senso Davide Zoggia è colui che si è spinto più avanti di tutti. Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, chiede almeno un organismo nuovo. E dice: “Bisogna rifuggire da spiegazioni semplicistiche tipo “Renzi non piace più” o “dovevamo trovare alla Leopolda la nostra Appendino”: “Il Pd è entrato in crisi col suo elettorato popolare, delle periferie. Ha sbagliato il racconto della crisi. E le nostre politiche sono state sbagliate”.
Per Rossi, come per Gianni Cuperlo, è stato ad esempio un errore abbassare “le tasse allo stesso modo a ricchi e poveri”, come fatto con l’operazione dell’Imu e, in parte, con quella degli 80 euro, non progressivi”. Sul tavolo anche una lettera aperta del deputato Enzo Lattuca: “Caro Renzi, spesso è sembrato che il Pd per te fosse un peso e un impiccio. Da quando sei segretario, abbiamo raggiunto l’apice della correntizzazione. Vorrei che ritrovassimo insieme la strada per cambiare questo Paese”.
La richiesta di dimissioni del commissario, poi, corrisponde ad un sentimento molto diffuso nel partito romano. Per partecipare Pier Luigi Bersani arriverà da Bruxelles. Sarà Roberto Speranza, che sta preparando la relazione, ad intervenire ponendo l’accento sul bisogno di ridare al Pd un’identità di sinistra rispondendo ai temi sociali da tempo posti dalla minoranza: pensioni, sanità, autonomie locali, necessità di reintrodurre l’Imu, provvedimenti a favore della povertà, ossigeno per gli enti locali, recupero delle periferie.
In molti attendono l’intervento di Renzi
Probabilmente domani la strategia di Orfini sarà quella, se necessario, di dirsi disponibile ad anticipare il congresso del Pd romano, previsto in un primo momento ad ottobre subito dopo il referendum costituzionale, decisione che per statuto spetta alla direzione, sull’esempio di quanto stabilito dal gruppo dirigente dem di Torino. Lì il segretario Morri non si ricandiderà e l’appuntamento fissato per l’inizio del 2017 sarà anticipato a settembre. Il responsabile Riforme del Pd, Emanuele Fiano, poi, assicura che sull’Italicum il premier “aprirà una riflessione già in Direzione”. In molti attendono l’intervento di Renzi per capire la linea sulla legge elettorale e per comprendere se il premier è ancora intenzionato a lasciare Palazzo Chigi se l’esito del referendum d’ottobre sulla riforma costituzionale fosse a favore del no.