“Ho lavorato al supermercato per 10 anni a meno di 2 euro all’ora”

“Ho lavorato al supermercato per 10 anni a meno di 2 euro all’ora”

Fabio Collatuzzo, in carico al SIL dell’Ulss7, denuncia un servizio “che promette e sfrutta”

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PIEVE DI SOLIGO – “Per dieci anni ho lavorato 20 ore a settimana per 180 euro al mese. Sono passato da un supermercato all’altro, con stage di sei mesi in cui prestavo servizio per meno di 2 euro all’ora”. E’ stanco Fabio Collatuzzo, 27enne di Pieve di Soligo, che a causa della sua malattia cronica, l’asma, circa 10 anni fa si è affidato al Servizio Integrazione Lavorativa dell’Ulss7 (SIL) per trovare un impiego. “Un servizio – racconta Fabio – a cui poi ho rinunciato. Sulle mie gambe, ora, cammino meglio”.

 

Dopo 10 anni di lavoro tra gli scaffali del Dix, dell’Eurospin, del Famila, del Bennet e di altre realtà del territorio, Fabio ha deciso di cercarsi lavoro da solo e, da circa un mese, ha trovato un impiego all’In’s di Pieve di Soligo. Un lavoro che gli piace, che fa volentieri. Un mestiere che ha sempre fatto, ma senza essere adeguatamente retribuito: “Presso i vari supermercati mi occupavo di sistemare i prodotti sugli scaffali. Facevo quello che facevano gli altri, ma, a differenza di tutti, io uno stipendio non ce l’avevo”. “Sono asmatico – precisa il ragazzo – e in quanto tale faccio parte di una categoria protetta. In questi anni, mi sono rivolto al SIL ottenendo però solo contratti di stage a breve termine con rimborsi spese minimi, tante promesse e nessuna assunzione”. “Lavoravo sodo, facevo del mio meglio, ma dopo sei mesi o un anno rimanevo a casa, e ricominciavo da un’altra parte a lavorare. Alle stesse condizioni: 180 euro al mese era il massimo che guadagnavo, lavorando 20 ore a settimana in media. Certo, le esperienze mi sono servite e ora ho trovato lavoro autonomamente. Ma se non mi fossi tolto dal SIL sarei ancora sgobbando per pochi euro”.

 

Fabio non è solo. Una ragazza che preferisce rimanere anonima sta facendo le pulizie in una scuola della zona da 9 anni, prestando servizio per pochi spiccioli. In categoria protetta, è comunque in grado di pulire aule, corridoi, bagni. Come lo è Mario, il nome è di fantasia, che da anni è “in stage” preso un’attività ricettiva ed esegue ogni tipo di mansione senza ricevere un idoneo compenso.

Sono 365 in tutto i “tirocini di formazione” promossi dal SIL nell’ultimo anno. Percorsi di integrazione e formazione, sulla carta. Stage destinati a persone con storie e problematiche diverse. Percorsi riabilitativi e di inserimento sociale che in alcuni casi – secondo la denuncia di Fabio e di altri utenti che preferiscono rimanere anonimi – sono però soltando “strumenti di sfruttamento”.

 

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Un’accusa dura, che viene ridimensionata dall’ULSS7. A spiegarci come funziona il SIL è Giuseppe Bazzo (in foto), direttore dei servizi sociali dell’Ulss7. “Noi non diamo lavoro ma forniamo un servizio di integrazione lavorativa a persone che stanno seguendo un percorso riabilitativo e a persone con disabilità fisica o psichica – chiarisce Bazzo – Sono spesso giovani che altrimenti starebbero a casa a non fare nulla e questa è per loro una possibilità di socializzare e di impiegare il loro tempo in modo costruttivo. Questo servizio ha una missione ben precisa e sostiene percorsi riabilitativi di persone che sono in cura. L’aspettativa è quella di lavorare e essere autonomi e noi spingiamo sempre affinché si arrivi all’assunzione ma anche la situazione economica ci rema contro: le aziende hanno difficoltà anche a tenere chi hanno già in casa”.

 

Lo scorso anno il SIL ha promosso 365 tirocini di formazione, di cui 9 si sono conclusi con un’assunzione.

“Secondo noi è un buon numero – commenta Bazzo – e comunque anche il tirocinio in sé è un’opportunità per queste persone che possono così contare su un ritmo di vita che altrimenti sarebbe loro precluso”.

Ma come è possibile che un ragazzo faccia lo stesso lavoro dei colleghi ma percepisca, per anni, meno di due euro all’ora?

“Noi diamo un’indennità alla partecipazione – risponde Bazzo – i soldi li prendiamo dal bilancio sociale dei 28 comuni dell’Ulss7: sono circa 340mila euro l’anno. I ragazzi sanno fin dal principio quali sono le condizioni e non sono obbligati ad accettarle. Noi chiariamo da subito le cose, con loro e con la famiglia, che è importante sia interamente coinvolta nel progetto”.

 

“Per queste persone, rimanere nelle varie aziende per anni, è un vantaggio – chiarisce l’Ulss – Abbiamo a che fare con persone con difficoltà e negli ultimi anni è anche difficile trovare realtà lavorative disposte a farsi carico di loro”.

Insomma, secondo la visione dell’Ulss7 Fabio è stato fortunato a poter trascorrere, per anni, mezza giornata al supermercato. A poter avere una routine lavorativa. E le aziende sono state davvero disponibili a permettere al ragazzo di sistemare i prodotti sugli scaffali senza doverlo retribuire.

Ora è Fabio che si sente fortunato: ha un lavoro. Part time, a tempo determinato, ma remunerato.

Fonte: oggitreviso.it

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